martedì 4 dicembre 2012

"0 Tiresia tu ci vedi, ma pur vedendo non vedi...” (EDIPO RE - Sofocle)

Continua la corsa insostenibile delle centrali a biomasse nella Bassa Romagna.

È previsto per metà dicembre il taglio del nastro e per metà febbraio il funzionamento a pieno regime della prima delle due centrali a biogas autorizzate nel comune di Conselice. Si tratta di quella realizzata alla Tarabina dalla Coop. Agricola Braccianti Massari, una centrale della potenza elettrica di 1 MW, alimentata dal gas prodotto dalla fermentazione anaerobica di insilati di mais, sorgo, triticale e di letame bovino nella proporzione dell’87% per gli insilati e del 13% per il letame . Salvo necessità di rotazioni colturali tutte le biomasse dovrebbero essere prodotte, dall’azienda stessa, entro un raggio di 5 Km, e ciò, unica nota positiva, non comporterebbe aggravio del traffico su strade pubbliche. L’agricoltura è un settore da anni profondamente in crisi e ciò ha indotto, visto gli incentivi pubblici, diverse aziende, ma anche società di comodo, ad indirizzarsi verso la produzione di energia da così dette “fonti rinnovabili”, coprendo svariati ettari di terreno agricolo con pannelli fotovoltaici e, ancor peggio, coltivandone migliaia a biomasse da bruciare, tal quali o previa digestione, nelle varie centrali.

L’agricoltura andrebbe sostenuta per fare ciò che da sempre le è proprio, produrre alimenti, e non per altro. L’Italia è un paese a “sovranità alimentare limitata”, per quanto riguarda il settore cerealicolo importiamo circa il 45% ( Associazione Nazionale Cerealisti – 2010 ) del nostro fabbisogno e questo da paesi in cui sono consentite le coltivazioni OGM, da paesi in cui la normativa sull’uso dei pesticidi è meno stringente della nostra e da paesi come quelli dell’est europeo i cui terreni sono pesantemente inquinati dal disastro nucleare di Cernobyl. È paradossale che per alimentare centrali termo-elettriche si vada a bruciare le nostre produzioni e ad importare prodotti di dubbia salubrità per l’alimentazione. Sarebbe più sensato fare il contrario, cioè utilizzare per le centrali i prodotti importati, ma allora sarebbe alquanto difficile nascondere che tali progetti non sono affatto sostenibili. Fra l’altro è in atto, a livello mondiale, una vergognosa corsa allo sfruttamento e all’accaparramento delle terre dei paesi poveri per fare colture energetiche, sottraendole all’uso alimentare delle popolazioni locali. Queste politiche di uso del suolo agricolo a fini energetici hanno comportato un aumento del prezzo del cibo con conseguente difficoltà di accesso proprio da parte dei paesi più poveri. Ora fra gli impianti termo-elettrici quelli a biogas sono si i meno inquinanti, viene bruciato solo il gas prodotto dalla fermentazione ed il biodigestato viene reso alla terra come concime, ma sono sostenibili da un punto di vista ambientale, economico ed energetico unicamente se fanno uso di residui come ad esempio le deiezioni animali che andrebbero comunque incontro a fermentazioni naturali disperdendo inutilmente nell’ambiente i gas prodotti. Gli stessi impianti diventano invece del tutto insostenibili nella misura in cui utilizzano colture dedicate, per ottenere le quali fra l’altro serve un apporto di energia, almeno pari a quello fornito dalle biomasse stesse con la loro fermentazione e/o combustione ( “Feasibility of Large-Scale Biofuel Production”di Giampietro, Ulgiati e Pimentel ). Vanno messi infatti sul piatto della bilancia tutti i carburanti fossili che servono per la costruzione e l’uso dei vari mezzi meccanici per la lavorazione terreno, per la semina, per il diserbo, la sarchiatura, per l’irrigazione, per la trebbiatura, per il trasporto, i carburanti fossili che vengono impiegati per la produzione di diserbanti e concimi chimici ed infine quelli che servono per importare la mancata produzione alimentare, a volte anche da distanze considerevoli. Negli Stati Uniti la produzione di etanolo da mais è quadruplicata rispetto al 2000, ciò sta incrementando notevolmente la domanda di fertilizzanti il che ha innescato a livello del Golfo del Messico, dove scarica il Mississipi, ampie fioriture algali con varie zone morte. Il bilancio è talmente sfavorevole che converrebbe bruciare direttamente questi carburanti fossili per produrre energia elettrica, almeno inquineremmo una sola volta. Luciano Pula, direttore generale della Massari, che gentilmente mi ha fornito spiegazioni in merito al progetto, sostiene siano necessari dai 280 ai 350 ettari di colture atte ad alimentare la centrale. È indubbiamente un calcolo ottimistico, considerando un approvvigionamento annuale, per far funzionare l’impianto, di 20.500 tonnellate/anno ( dati forniti dallo stesso proponente ) tra mais, sorgo e triticale, pur prendendo in considerazione solo il mais che ha una resa media maggiore degli altri, 50 tonnellate/ettaro (dati Istat 2006/2011), sarebbero necessari almeno 400 ettari di terreno, quando per produrre 1 MW col fotovoltaico a terra, male minore, sarebbero bastati 1,4 ettari e su edifici o strutture varie, situazione ottimale, la metà ancora. Inoltre da prove sperimentali del CRPV Emilia Romagna di Faenza, svolte a S. Prospero Imola nel 2012, volte ad indagare varietà di mais che fornissero le migliori rese produttive in riferimento alla produzione di biogas, la resa media, causa la perdurante siccità, è stata semplicemente di 26 t/ha. Visto i cambiamenti climatici, eventi come quelli del 2012 sono destinati a diventare sempre più frequenti, si può quindi ipotizzare nell’arco degli anni a venire una diminuzione delle rese per ettaro con conseguente aumento della superficie dedicata. Infine va detto che dopo il kiwi il mais è la coltura che più richiede acqua, 6.000 m3 /ettaro, e l’acqua è un bene prezioso destinato a diventare sempre più scarso e quindi va preservato ed usato per soddisfare innanzitutto due bisogni inalienabili , che sono quello di dissetarsi e quello di nutrirsi. Se noi ragioniamo a livello globale, e ciò è d’obbligo perché questo nostro pianeta è un tutt’uno ed un battito d’ali qui può creare un uragano dall’altra parte del mondo, dovremmo renderci conto che questi progetti possono avere un futuro solo se il futuro lo rubiamo ad altri, ai giovani e alle generazioni a venire.

Luciano Lama

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