martedì 19 gennaio 2016

Neo-Pavaglione

12439248_1729724897243164_7686262314460450763_nA che dobbiamo un “Giardino degli Incanti” impiantato nel cuore di Lugo, lo spiazzo dentro il Pavaglione? Forse ad una suggestione linguistica malintesa, in quanto quel civico piazzale veniva chiamato tradizionalmente il Prato del Pavaglione, o della Fiera?

Vorrei attaccarmi appunto al malinteso facendo appello alla realtà storica e agli stili ad essa inerenti, piuttosto che alle suggestioni dettate magari da buon gusto contemporaneo ma niente di più. La realtà del Pavaglione è che esso venne realizzato negli anni ’70-80 del Settecento, su richiesta dei Lughesi e dietro approvazione del governatore della Legazione di Ferrara l’attivissimo Cardinale Carafa, per provvedere a (diremmo oggi) razionalizzare lo spazio in cui si effettuavano il mercato dei bozzoli da seta e la Fiera cuore pulsante della mercantile terra di Lugo; uno spazio centrale lasciato libero giusto due secoli prima con l’abbattimento della Cittadella e prontamente occupato dai bottegai che ottennero anche il riscatto della Fossa del Castello dopo lunga contesa con famiglie che la avevano avuta in usufrutto.

Uno spazio pubblico, su cui si operò una razionalizzazione di stampo urbanistico illuminista, secondo i criteri di cauto riformismo che caratterizzarono il Settecento nello Stato della Chiesa, e per il quale è stata coniata una specifica definizione, appunto “Riformismo Legatizio”, che vuole dire poco o molto a seconda delle circostanze. Questo riformismo gestito da ecclesiastici produsse appunto opere di pubblica utilità, oltre a chiese rinnovate e collegi; spesso tettoie in muratura o specifici edifici.

Lugo ebbe, caso unico in regione, il fregio di un loggiato quadriportico, di carattere e dimensioni monumentali; insomma una forma esclusiva, e come tale da conservare e valorizzare nel suo spirito di architettura funzionale. In realtà, prima di quella odierna si sono compiute altre operazioni stridenti con lo stile originario: prima fra tutte la copertura a volte di graticcio che abbassava il soffitto retto a capriate e lo arrotondava a botte. Ma quella odierna è una scelta disorientante, lontana da qualunque ragione pratica oltre che da qualunque continuità stilistica: una simil-collinetta orlata da sagome arboriformi con lumini, una semina di parallelepipedi in pietra ad uso sedili, il tutto amalgamato da un ghiaino ambrato (unica nota di colore), tramutano il piazzale in spazio “metafisico”, ovvero semplicemente disconnesso dal quadriportico che lo racchiude, con la prospettiva di una ri-naturalizzazione a base di un filare di alberi veri (per fare ombra a chi?).

La ragione ufficiale di tutta l’opera è, naturalmente, la volontà di ottimizzare lo spazio ad uso dei cittadini; lo spunto storico è immaginabile: il piazzale era un “non finito”, notoriamente, da sempre. Subito dopo l’inaugurazione del quadriportico (1783) si mise mano alla sua rifinitura, ma questa si limitò all’acciottolato parziale, che giustamente è stato conservato nell’operazione odierna. Cento anni dopo, una Amministrazione di buona volontà intervenne erigendovi un monumento-obelisco ai padri del Risorgimento locale; cinquant’anni dopo un’altra demolì quel manufatto lasciando il piazzale più spoglio che mai, però occupando la laterale Piazza Maggiore con il colossale Baracca.

Purtroppo, il centro di Lugo reca ben visibili le stimmate di tanti stili aggiunti a lacerare quel tanto di unitario cui pure aveva diritto. Adesso è venuto il momento per l’unico spazio lasciato fuori dalle mutazioni e superfetazioni che non avevano mai cessato di lavorare all’intorno. Ma, personalmente, non mi sento di ringraziare per questa novità.

MAURO BOVOLI

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